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Il Giappone è la prima nazione dove si è manifestato un particolare fenomeno di ritiro dalla vita sociale noto come Hikikomori cioè  “Stare in disparte” , per periodi lunghi, anche anni, ritirandosi in casa, o addirittura nella camera, evitando i contatti diretti con gli altri, perfino con i genitori o altri congiunti conviventi.

I primi casi si manifestarono negli anni 70 del XX secolo, vennero scambiati per disturbi psicologici e psichiatrici quali depressione e schizofrenia.

Nel 1998 uno psichiatra giapponese, Tamaki Saitō, pubblicò il libro “Ritiro sociale: adolescenza senza fine”, nel quale utilizzò il termine Hikikomori, riferendosi sia ai soggetti sia al fenomeno.

Nel 2003 il governo Giapponese riconobbe ufficialmente l’Hikikomori definendo i criteri base che lo caratterizzano, Tajan N. et al. (2017):
– la casa, o la camera, unico spazio in cui condurre la propria vita.
– disinteresse e indisponibilità a frequentare l’ambiente scolastico o lavorativo.
– sintomi persistenti per almeno sei mesi.
– assenza di disturbi mentali
– relazioni sociali presenti.
Uno studio del 2007, Suwa M. & Hara K. (2007), documentò che negli Hikikomori non erano presenti altre psicopatologie, definiti come Hikikomori Primario, confermando quanto riportato nel libro di Tamaki Saitō.
Lo Hikikomori Primario, sembra sviluppi il ritiro sociale a seguito delle dinamiche familiari e dei tratti di personalità, al rapporto socio-affettivo con gli altri, all’ambiente scolastico, dove possono essere stati vittime di bullismo.

Per lo più gli Hikikomori hanno una percezione negativa del realizzarsi in un contesto sociale, e sentono di dover fuggire fino al rifiuto della vita sociale.

Nello stesso studio si identifica un altro tipo di Hikikomori che presentano disturbi pervasivo dello sviluppo con alto funzionamento (HPDD high-functioning pervasive developmental disorders) che il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM5 fa rientrare nello spettro autistico.

In Giappone si stimava nei primi anni 2000, che ci fossero più di un milione, con insorgenza prevalente nell’adolescenza e successiva cronicizzazione.

Sino a poco tempo fa si riteneva fosse un fenomeno della cultura giapponese, ma negli anni questo si è diffuso, in modo preoccupante in tutti i paesi sviluppati, fra cui l’Italia.

Gli Hikikomori sono frequentemente molto intelligenti, inibiti socialmente, hanno difficoltà a gestire le frustrazioni, e spesso non vogliono farsi aiutare.

Come conseguenza di questo “stare in disparte” si può sviluppare una dipendenza da Internet, che diventa l’unico modo di comunicare con il mondo esterno.

Spesso si confonde l’Hikikomori con l’IAD (Internet Addiction Disorder), tanto che in molti casi gli Hikikomori non utilizzano Internet, o ne fanno un uso limitato non per interagire con il mondo esterno
(Pierdominici C. 2008), (Ricci C. 2008).
Un’altro errore è pensare che il fenomeno Hikikomori sia Gaming Disorder (dipendenza da videogame), il giocatore, così come il navigatore internet, cerca intrattenimento, distrazione ma comunica con il mondo, e non sono queste pratiche a creare quel vuoto che è già preesistente negli Hikikomori.

L’Hikikomori non va confuso con la depressione, è vero che l’isolamento può favorire disturbi dell’umore, ma per lo più l’isolamento volontario porta ad un equilibrio che non avrebbero nel contatto diretto con il mondo esterno, equilibrio che fa allontanare la sofferenza.

Il fenomeno Hikikomori non è fobia sociale, come evidenziato in uno studio recente (Nagata T. et al. 2013 ), i cui si sono confrontati i risultati di terapia integrata (trattamento farmacologico, terapia psicologica individuale e gruppale) su soggetti con fobia sociale diagnosticata, e soggetti Hikikomori, questi ultimi sono sembrati resistenti alla terapia.

Il fenomeno Hikikomori non è schizofrenia, è vero che l’isolamento è un possibile prodromo della schizofrenia, ma gli Hikikomori non manifestano psicosi, allucinazioni, deliri paranoidi, anzi hanno una capacità di pensiero profonda e complessa, su tutto ciò che riguarda loro e gli altri (Zielenziger, 2016).

Il fenomeno Hikikomori non è un disturbo dello spettro autistico, che si manifesta sin dalla prima infanzia, con problematiche di comunicazione e di relazione, con interessi personali circoscritti, e frequentemente mettono in atto rituali e atti ripetitivi. Per gli Hikikomori la problematica appare solo nell’adolescenza.

Gli Hikikomori non sono degli eremiti, infatti si ritirano dalla società soltanto per il contatto diretto, possiamo dire con il corpo, ma restano in contatto indiretto con il mondo esterno, quindi con la mente. La maggioranza degli Hikikomori continua ad interagire con il mondo esterno, attraverso Internet, chattano, usano i social, giocano online interagendo con la comunità dei gamer, ecc..

In Italia nel 2019 il MIUR ha cominciato ad occuparsi degli Hikikomori, istituendo un Comitato Tecnico Nazionale, per meglio definire le azioni per tutelare il diritto allo studio degli Hikikomori, partendo dagli strumenti legislativi già presenti Direttiva 27.12.2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione”, D. Lgs. 66/2017 (art. 16 istruzione domiciliare), D.M. 461 del 6 giugno 201, “Linee di indirizzo nazionali sulla scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare”. In questo modo sarà possibile avviare dei Piani Didattici Personalizzati e l’istruzione domiciliare.

Oggi l’Intervento su questa nuova sindrome Hikikomori, non è stato ancora ben definito in un protocollo clinico, sebbene dall’esperienza clinica giapponese si è capita l’importanza di un un trattamento integrato sia individuale che di gruppo: psicologico, psichiatrico, sociale, scolastico e lavorativo, in cui molte figure significative sono coinvolte, prima di tutto la famiglia (Saitō T.,1998) .




Bibliografia
Crepaldi M. (2020) “HIKIKOMORI I giovani che non escono di casa” Alpes Italia 
Nagata T. et al., (2013), “Comorbid social withdrawal (Hikikomori) in outpatients with social anxiety disorder: Clinical characteristics and treatment response in a case series”, International Journal of Social Psychiatry, 59(1), pp. 73-78.
Pierdominici C. (2008), Intervista a Tamaki Saitō sul fenomeno Hikikomori, Psychomedia, 12 aprile.
Ricci C. (2008), Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli, Milano.
Suwa M. & Hara K. (2007), “Hikikomori among Young Adults in Japan”, Journal of medical welfare, 3, pp. 94-101.
Saitō T. (1998), Adolescence without End, Minnesota University Press, USA, 2013.
Tajan N. et al. (2017), “Hikikomori: The Japanese Cabinet Office’s 2016 Survey of Acute Social Withdrawal”, The Asia-Pacific Journal, 15(5).



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